..il tutto per arrivare alla settimana che in Italia e' partita con la sospensione di una partita per ragioni incredibili e che si concludera' con la madre di tutti i match dell'odio..Juve-Roma..
comunque la pensiate...benvenuti sul blog della dinamo tassino...
Chi ama il calcio odia il Barcellona
Tifano per una squadra il cui motto è Mes que un club. I sostenitori del Barcellona rivendicano così l'appartenenza a qualcosa di diverso e unico, come a sottolineare fin da subito, dalla stretta di mano, che se la loro è più di una squadra le altre non possono che essere solo squadre o anche qualcosa di meno. Sostenitori, soci, catalani.
Ma anche semplici simpatizzanti sparsi per i cinque continenti, allegri non tifosi che portano in spalla bimbi di 5 anni con la maglia di Messi e il sorriso timido di Iniesta. Il Barcellona di oggi viene da lontano. La stirpe di brevilinei innamorati della palla che ammalia il mondo e cambia le regole del gioco è solo l'ultima generazione di una storia calcisticamente antica, iniziata nel 1899 quando un uomo d'affari protestante, lo svizzero Joan Gamper decise di fondare la squadra insieme ad alcuni espatriati inglesi. Da allora il Barcellona è stato sempre e comunque forzato a essere mes que un club. La bandiera di un nazionalismo liberale, quello catalano. La bandiera di modernità, progresso e sviluppo industriale (catalano, come ovvio) contro la retriva borghesia imperiale castigliana. Lo sfogo morbido e orgoglioso dell'indipendentismo contro la repressione fascista del Generale Franco. Il Barcellona è stato vettore perfetto di sentimenti nobili e ha ispirato la meglio gioventù iberica, ha riformulato negli anni i canoni di stile e bellezza calcistica mutuandoli dagli olandesi ed è diventato lo sbocco obbligatorio del tifo progressista e il passatempo di scrittori e artisti.
tifo politicamente corretto
E la risposta a tutte le ricerche e le domande, alla sete di correttezza politica che per alcuni (in genere quelli che non guardano le partite) è l'unico requisito necessario al tifo, è solo una. Il Barcellona. La squadra che può privarsi di campioni eccezionali se non li ritiene funzionali al suo stile di gioco, la squadra che non ha gruppi di tifosi organizzati e il cui stadio, il monumentale Camp Nou, è pieno di famiglie e ha uno dei tassi di presenze femminili più alti del mondo. Come si può non amare il Barcellona che porta l'Unicef sulle sue maglie? Come è possibile non innamorarsi di Messi, il campione educato e silenzioso, forse anche timido, che segna gol meravigliosi e vince tutti i trofei individuali dell'universo e li dedica alla squadra?
Si può. Io odio il Barcellona, sempre che l'intensità dell'odio si possa applicare alla più seria e drammatica delle cose poco serie, il calcio. Il Barcellona di Guardiola è la massima espressione del nuovo spirito blaugrana. Un allenatore giovane e intelligente (anche molto presentabile, che non guasta). Un gruppo di giocatori disciplinati, pettinati a modo e incapaci di qualsiasi forma di protagonismo o eccesso, allineati allo spirito disneyano richiesto dal club. Un pubblico che festeggia le vittorie ma non dimentica di celebrare la squadra anche nelle sconfitte, come è accaduto alla fine della sfortunata semifinale di Champions League contro il Chelsea.
Non me ne sono accorto in tempo reale perché come altri milioni di antipatizzanti ero in piedi sul divano, paonazzo e stravolto dalla gioia a celebrare il successo dei brutti, sporchi, ricchi e cattivi del Chelsea di Abramovich, il miliardario dallo sguardo di ghiaccio e il portafoglio senza fondo. Da dove viene quello che uno bravo chiamerebbe Schadenfreunde e uno come me semplifica in odio? Perché tutto questo astio, come si può non amare il Barcellona? Si può e forse per amore del calcio si deve. Non è il passatismo a trasformarci in nemici irriducibili del gioco del Barcellona (che qui non chiameremo mai affettuosamente "Barça"), non la nostalgia della melina né la naturale e molto sana propensione catenacciara di noi gente che non ama il "tiqui taca" e pensa che Manuel Vázquez Montalbán fosse un notevole scrittore e un pessimo osservatore delle cose del calcio.
Il Barcellona è terribilmente noioso, ecco la verità. Il suo gioco lento e avvolgente, la quantità industriale di palloni stoppati, lavorati e giocati dai suoi centrocampisti frenetici è una delle cose più deprimenti della storia del calcio e il fine ultimo della creazione del suo gioco, l'umiliazione dell'avversario ancora più e prima che la sua sconfitta, è aberrante. Il dramma (sportivo, s'intende), è che siamo di fronte a un'onda lunga, di cui vediamo solo i primi effetti. Infatti gli infidi ammaestratori di foche catalani iniziano prestissimo a instillare i principi della noia e della masturbazione del pallone ai loro pulcini.
La Masia del Barcellona, il suo settore giovanile, è l'incubatore perfetto degli errori e degli orrori calcistici celebrati in tutto il mondo come il miracolo della squadra che inventò il calcio moderno. Li vogliono tutti uguali, pettinati allo stesso modo, educati e al servizio del collettivo. Una fabbrica di piccoli mostri impomatati e fungibili, pronti a entrare nello schema. Pochi mesi fa una selezione giovanile romana chiamata Futbolclub fece visita alla Masia per cercare di carpirne i segreti. Furono organizzate quattro partite e i ragazzini italiani presero complessivamente 59 gol per segnarne solo uno.
I dirigenti del Futbolclub si dissero entusiasti dell'esperienza, nessuno si prese la briga di raccogliere le dichiarazioni dei piccoli giocatori, che con tutta probabilità avrebbero sposato la mia tesi, odiando il Barcellona di quell'odio che la vittima dedica non tanto al carnefice quanto al sadico torturatore. I 59 gol delle giovanili, gli otto gol a partita rifilati dalla prima squadra a inermi carrozzoni di brocchi della Liga (il campionato più brutto e sopravvalutato del mondo), tutti esercizi di uno stile arrogante che per carità è disponibile e rappresenta una soluzione per chi ha più forza e talento, ma che presenta enormi zone d'ombra. Impomatati, senza personalità e spietati.
Partiamo da qui e proviamo a conciliare queste caratteristiche con la presunta affabile correttezza politica dei tifosi e del club, che poi è mes que un club. Difficile vero? Sempre quelli più preparati e bravi diranno che i veri vincenti sono spietati, che la vittoria e il risultato sono l'unica cosa che conta e che il Barcellona li consegue pure giocando un calcio spettacolare e unico. Sulla spettacolarità di una seduta collettiva di onanismo non mi ripeterò, ma c'è ancora un argomento che mi impedisce di guardare con rispetto e simpatia alla squadra dei buoni che poi non lo erano.
Il Barcellona è un prodotto vendibile, molto. Sempre mentre io esultavo sul divano e ne mettevo alla prova la solidità con un ballo frenetico e sconsiderato, a Londra qualcuno veniva ripagato delle lacrime amare di qualche anno fa. La squadra più amata dai bambini di tutto il mondo, forse anche grazie all'aspetto fanciullesco di Lionel Messi, nel 2009 approdò alla finale di Champions League dopo una delle partite più controverse di sempre, una di quelle che fanno gridare allo scandalo anche i meno complottisti (partito al quale mi iscrivo con grande convinzione). Aiutati in ogni modo possibile e immaginabile dal pessimo arbitro Ovrebo i catalani pareggiarono nel finale dopo che almeno quattro rigori netti furono negati al Chelsea. Ora converrete che quattro rigori sono un bel numero, troppi per una squadra simpatica, perfetta e che nelle intenzioni e nell'idea di chi la idolatra non dovrebbe proprio averne bisogno. Ma capita anche questo, la fortuna aiuta audaci, forti e idoli dei bambini. Stride con l'immagine del club (mas que) così come una miriade di altri errori a favore collezionati negli anni, ma non basta a giustificare l'odio direte voi. Bene, allora è tempo di giocare la carta migliore, l'accusa senza appello.
Il Barcellona, questo Barcellona di Guardiola (o meglio, quello che fu e che ora verrà allenato dal suo secondo Tito Vilanova), è una squadra scorretta. Simulatori, piangina isterici e incapaci di lasciare l'arbitro alle sue funzioni, i giocatori del Barcellona hanno dato pessime prove di sé in mondovisione e sono stati graziati in fretta e furia dalla stampa sportiva per non macchiare l'immagine luminosa da giusti costruita con tanta fatica. Sergio Busquets è la bandiera di quella odiosa malafede senza passione né sentimento che i blaugrana hanno messo a sistema. Intendiamoci, il calcio è uno sport di contatto e senza ricorrere allo sciovinista e antico luogo comune sullo sport per maschietti e non per signorine, resta che in campo succede di tutto e spesso si prendono delle scorciatoie. Si trascina il piede, si casca con una certa facilità e si fa del proprio meglio per non aiutare il giudizio arbitrale e ottenere qualche vantaggio. Così fan tutti, è uno schifo ma la rivoluzione culturale è un obiettivo non alla portata di queste poche righe. Il fatto è che Busquets è un artista della provocazione e della simulazione.
Nella semifinale di Champions League contro l'Inter Busquets incrocia la corsa di Thiago Motta, non uno stinco di santo, e crolla in terra come fulminato dal più potente uppercut del mondo. Tutti noi spettatori siamo disposti a credere che Motta abbia fatto una marachella e a seconda del nostro gradiente interista ci disperiamo o festeggiamo la decisione dell'arbitro.
Sarà solo il replay a raccontarci il nefando piano di Busquets, la simulazione con tanto di rotoloni per il dolore e quelle mani sugli occhi che però a un certo punto si aprono per verificare l'effetto della messinscena. Motta espulso, Busquets integro, mai colpito e in campo.
La replica all'infinito di questo vezzo da parte di Busquets unita alle corse disperate di Xavi e Puyol per contestare ogni decisione avversa fanno del Barcellona una squadra insopportabile per chi nel calcio cerca il calcio e non la sublimazione dell'astuzia latina e del teatro dell'arte. Uno dirà che queste motivazioni sono poche, patetiche e insufficienti di fronte alla maestosità di concetti assoluti come il possesso-palla, il numero di passaggi di Xavi in una sola partita, il genio tattico e la tecnica pura di Iniesta, le funamboliche discese di Messi e la capacità di Piquè di dire sempre la cosa sbagliata e riprodursi acrobaticamente con una donna alta meno della metà. Altri sosterranno che il destino delle squadre vincenti è quello di essere odiate per motivi misteriosi quanto i più oscuri segreti di Stato e lampanti quanto i più oscuri segreti di Stato.
Io odio il Barcellona perché amo il contropiede, la sensazione meravigliosa della rottura dell'assedio, i centrocampisti che tirano da duecento metri (ne rimane qualcuno in Bundesliga e il solo Daniele De Rossi in Italia), i gol di rapina e le vittorie ingiuste che poi son sempre giuste, le squadre anarchiche e gli stopper ruvidi che non sanno trasformare l'azione da difensiva in offensiva ma sanno benissimo come colpire in faccia gli spettatori delle prime venti file con una palla spazzata in tribuna quando era più di una squadra
C'è stato un tempo in cui il Barcellona era un'altra cosa. Nel 1943 affrontò il Real Madrid nelle semifinali della Coppa del Generalissimo. Quando mancavano pochi minuti dall'inizio della gara nello spogliatoio del Barça (ora sì con affetto) entrò il capo della sicurezza nazionale e chiese di parlare con i giocatori. Li riunì e disse loro di ricordarsi che molti erano appena tornati in Spagna dopo l'esilio grazie a un'amnistia che aveva condonato la loro fuga. «Non dimenticate che molti di voi giocano soltanto grazie alla generosità del Regime, che ha deciso di chiudere un occhio sulla vostra mancanza di patriottismo».
I blaugrana minacciati della perdita del bene supremo, la loro stessa vita, furono sconfitti per 11 a 1. Io non ho ricordi di quel Barcellona e non ho idea concreta del franchismo e di quello che il nazionalismo catalano possa aver subito negli anni neri del Generale, ma nella mia fantasia quegli undici giocatori sono sì più di una squadra, mes que un club, costretti a perdere per sopravvivere nonostante la sconfitta fosse una tragedia per tutta la popolazione catalana. Le immagini in bianco e nero riportano facce serie, spaventate, sofferenti. Quel Barcellona aveva un ruolo, incarnava lo spirito del suo tempo, aveva una funzione. Questo Barcellona è una squadra costruita in laboratorio (e qui non abbiamo parlato dei sospetti di doping e della presenza di Xavi e Iniesta nelle liste dell'alchimista dello sport spagnolo, il misterioso Dottor Fuentes), educata a essere ineducata e spietata ma a piacere i bambini, addestrata a distruggere il calcio trasformandolo in una noiosissima e frenetica sessione di cucito e incapace di fare qualcosa di memorabile e non solo di numericamente eclatante. In questo senso odiare il Barcellona significa ancora amare il calcio del caso e della buona sorte, amare ogni Davide che sconfigge Golia e odiare i parrucchieri catalani e il loro gel. Io mi sento di farlo senza remora alcuna, perché odio il Barcellona e non leggo Topolino da anni.(M.Dalai)
qualche riga condivisibile...più che condivisibile...
RispondiEliminanel complesso ci leggo la voglia di "sprecare" un po' di inchiostro per suscitare qualche facile simpatica/antipatia...della serie "che se ne parli bene o male, l'importante è che se ne parli"...
...direi anche un po' noioso...
io invece odio la giuventus... hahahaha
RispondiEliminabeh dai Marione...secondo me anche un po' Busquets!!! :)
Eliminaquello non si odia... e' solo da prendere a calci in bocca!!! ;-)
EliminaSOLO ATALANTA
RispondiEliminaol rest al vansa
troppo lungo...però letto alcuni sprazzi e mi è sembrato geniale e esattamente dice quello che penso anch'io.....solo che se lo dico io non capisco una sega, se lo dice uno "CREDIBILE" diventa argomento...eh
RispondiEliminabravo Vale...ora mi aspetto una celebrazione per Real e Ronaldo!!